Maschio o femmina? Io sono non-binary

Cultura Gruppo donna Non-binary

di Redazione CIG Arcigay Milano

non-binary, woman

A cura del Gruppo Donna – CIG Arcigay Milano

di Jess

Rosa o azzurro. Bambole o macchinine. Femmina o Maschio. Sono cresciuta in una realtà in cui tutto era ben suddiviso tra ciò che era per femmine e ciò che era per maschi. Io stessa ero forzata a una scelta. Allora non sapevo ancora cosa avrebbe significato per me.

Mi chiamo Jess, sono una persona non-binary e non ho alcuna preferenza di utilizzo di pronomi. Più per abitudine che per necessità, mi rivolgo a me stessa con pronomi e declinazioni femminili. Sono cresciuta tra gli anni ‘80 gli anni ‘90 e in quel periodo si era totalmente all’oscuro di argomenti legati al genere e alla sessualità o, meglio, tutto ciò che sentivo relativamente a questi temi era a sfondo discriminatorio e denigrante. Sapevo perfettamente di non essere “uguale alle altre bambine”.

Fin dai tempi dell’asilo ho dimostrato una certa avversione per tutto ciò che è considerato “da femmina”, non propriamente per scelta, ma per naturale attitudine e propensione. Amavo i capelli corti, giocare con le macchinine, fare la pipì in piedi come i miei amici e sognavo di fare il benzinaio da grande. Ho capito presto che il mio essere suscitava l’attenzione di chi mi circondava; parenti, amici e sconosciuti si premuravano, tutti, di ricordarmi quanto fosse sbagliato il mio modo di comportarmi, i miei interessi, il mio aspetto, elargendo infiniti giudizi travestiti da consigli.

Durante la prima infanzia non ho subìto grandi discriminazioni, ma con il passare del tempo le cose sono iniziate a cambiare. Nel momento in cui la mia personalità e la mia espressione di genere non aderivano alle aspettative sociali strettamente binarie maschio-femmina, ecco piovere le etichette, gli insulti, l’allontanamento, l’emarginazione. Amici, insegnanti, parenti, genitori, ognuno di loro ha avuto un ruolo chiave nel farmi credere di essere completamente sbagliata, fuori posto. Eppure, era così semplice. Cosa ci vuole a sistemarsi un pochino? Cosa ci vuole a farsi crescere i capelli, ad atteggiarsi in maniera un po’ più femminile, a indossare abiti adatti a una signorina? Cosa ci vuole a non essere più te stessa? Indossa una maschera Jess, vedrai che saremo tutti più felici. Goccia dopo goccia, giorno dopo giorno, ho perso totalmente la mia identità, non sapevo più chi fossi. Non mi sentivo una femmina per definizione, quindi dovevo per forza essere un maschio: non c’erano alternative. Per molti anni ho creduto di esserlo (biologicamente intendo). Ero convinta di avere una qualche anomalia fisica, le mestruazioni non arrivavano, se ne sarebbero presto accorti e tutto si sarebbe risolto. Nessun difetto fisico, a sedici anni suonati da un pezzo ecco il menarca: inaspettato e violento, è riuscito a mandare in frantumi tutte le mie certezze. 

Ho smesso di guardarmi allo specchio. Ho smesso di farmi domande per molto, molto tempo. Vivevo ignorando totalmente chi fossi. Maschio? Femmina? Non era importante, vivevo le mie giornate cercando di essere il più fedele possibile a me stessa, cercando di ignorare i commenti, gli sguardi, i ghigni, le porte chiuse in faccia, le opportunità negate, il giudizio altrui. Eppure, ogni tanto la domanda riemergeva impetuosa. Chi sono io? Sono una femmina? Sono un maschio? No, io non sono una donna, ma non sono nemmeno un uomo. È dura vivere nella costante nebbia fitta, dover per forza calzare in un definizione che non ti sta lontanamente comoda. O bianco o nero, o maschio o femmina. Io non ero nessuno dei due e allo stesso tempo ero entrambi. Come si fa a spiegare qualcosa di così intimo e incomprensibile a chi non lo prova sulla propria pelle? E ancora peggio, come fai a spiegarlo a te stesso se non sai nemmeno come definirlo?

Non molti anni fa un’amica mi ha girato un video sull’identità non binaria. Lei mi aveva riconosciuto in quel video. Quando l’ho visto sono esplosa, per la prima volta mi sono davvero vista. L’ho inviato a sorelle e amic* urlando ECCOMI, ecco chi sono. Quel breve reel racchiudeva il senso di una vita. La persona che raccontava la sua esperienza, in qualche modo ha raccontato la mia. Non ero più sola. 

Bandiera non-binary

Ho iniziato a mettere insieme tutti i tasselli sparsi di un puzzle che sembrava non avere senso. Ho iniziato a capirmi, ad accettarmi e a volermi bene, esattamente per ciò che sono. Di certo non si cancellano le difficoltà di una vita, ma ora so cosa va bene per me e cosa no, cosa amo di me e cosa no, e so che vado bene così, perfetta nelle mie differenze e imperfezioni. 

Oggi continuo ad avere un aspetto androgino, porto i capelli corti, preferisco gli abiti più “maschili”. La differenza è che lo faccio senza vergogna, perché mi fa stare bene, perché mi rappresenta, perché io sono così. Gli sguardi inquisitori degli altri ora non mi fanno più abbassare lo sguardo, ma alzo la testa fiera del mio percorso e della persona che sono. Oggi ho fatto un enorme salto oltre gli stereotipi di genere.

Spesso sento dire di quanto siano costrittive e limitanti le etichette, di quanto sarebbe bello che le cose non si definiscano, essere liber* ognuno di essere ciò che è, senza paura e senza giudizio. In parte appoggio questa visione ma, in una realtà davvero molto lontana dal bisogno di etichettare e giudicare, l’aver capito di essere una persona non-binary mi ha donato un’identità e un senso di appartenenza, nonché il mio posto nel mondo. Da invisibile e fuori posto mi sono resa conto di essere e di avere diritto al riconoscimento di ciò che sono. Identità di genere e sessualità sono temi davvero fondamentali per una persona. Si intrecciano ogni giorno della nostra vita con tutto quello che facciamo, con tutto quello che viviamo, con ogni persona che incontriamo. Non è possibile vivere una vita in pace con noi e con il mondo se non sappiamo e non accettiamo chi siamo.  Vivremmo sempre a metà, ci trascineremmo un giorno dopo l’altro alla ricerca di un riflesso che ci assomigli. Chi osa negare le nostre identità ci nega la vita.

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